Il monologo di Basil in 8 Rue de l’humanité: analisi

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Basil, uno dei personaggi più sorprendenti di 8 Rue de l’humanité, è una di quelle scene che, nella loro semplicità apparente, riescono a condensare una quantità enorme di sottotesto. Il monologo del piccolo Basil arriva come un momento di pausa narrativa, ma solo in apparenza. In realtà è un vero cambio di punto di vista. Fino a quel momento, il racconto è filtrato dagli adulti, con le loro paure, isterie, giudizi e sarcasmi. Qui invece lo sguardo si abbassa all’altezza di un bambino che osserva il mondo degli adulti senza filtri, senza sovrastrutture.

Paura del Covid?

MINUTAGGIO: 00:40-3:10

RUOLO: Basil

ATTORE: Enzo Pitoc

RUOLO: Netflix


ITALIANO

Una guerra senza soldati, non riesco a capire. Tutti ad applaudire le strade deserte. All’inizio mi sembrava una follia, poi mia sorella ha detto: “Sosteniamo gli ospedali da casa, così se stiamo male si prendono cura di noi.“ Mia madre ora non c’è, ma tornerà presto, me l’ha detto all’orecchio. Ce l’ha con mio padre, dice che è il signor So tutto io. Ma non capisco, è bello sapere tante cose. Papà mi ha detto:”Basil, le donne sono incomprensibili“... Quelli sono gli isterocondriaci, se la fanno sotto dalla paura. Non piacciono né a me né a papà, apparte la figlia. E’ bellissima, anche con la mascherina. Quando la incontravo non la guardavo e ora che la guardo non la incontro più, la vita è un gran casino. Loro non so chi siano. Nemmeno loro, loro e loro sono scappati in campagna. per papà sono dei cagasotto. Lui non so chi sia… lui so chi è. Il biologo del laboratorio d’analisi. Papà dice che col Covid s’è fatto le palle d’oro. Io non mi farei le palle d’oro. Chissà che male e chissà quanto pesano. La padrona del Bistrot al pianterreno ha chiuso, poverina. Papà spera che fallisca, o che muoia di Covid. Così lui prende il locale a due soldi e apre un altro negozio di Svapo. E ne ha già un bel pò. Ora vi svelo un segreto. Mio padre non fa il tifo per gli ospedali, ma per il Covid. Perché uccide solo i vecchi, che sono una spesa e non servono a niente. Mio padre non ha paura, e neanche io. Noi applaudiamo più forte tra i condomini perché la casa è nostra, mentre gli altri sono in affitto. Papà dice che gli affittuari sono buoni solo a lamentarsi, e ha ragione.

8 rue de l'humanitè

“8 Rue de l’humanité” è un film del 2021 scritto, diretto e interpretato da Dany Boon. Siamo nel pieno del primo lockdown del 2020 e il film decide di chiudere in un microcosmo tutto quello che è successo fuori, nel mondo reale. Un condominio parigino, con i suoi sette appartamenti abitati da personaggi molto diversi tra loro, diventa lo spazio chiuso in cui si muove tutta la narrazione. Il film si apre con l'annuncio del lockdown. La Francia si ferma e, con lei, gli abitanti dell’8 di Rue de l’humanité. Alcuni decidono di scappare in campagna o chiudersi in casa, altri rimangono per necessità o per scelta. Chi resta, però, non è mai veramente “fermo”. C’è chi è costretto a reinventarsi, chi è costretto a guardarsi in faccia per la prima volta senza le maschere della routine quotidiana.

I protagonisti sono diversi, ma tutti rappresentano frammenti della società che abbiamo vissuto (o osservato) in quel periodo:

Martin (Dany Boon) è un ipocondriaco di livello professionale, praticamente in lotta quotidiana con la paura del virus. Vive con la compagna, una cantante famosa (interpretata da Laurence Arné), che cerca invece di tenere in vita la sua carriera a distanza, facendo concerti su Zoom e sopportando la paranoia crescente di Martin.
Claire è una ristoratrice che vede la sua attività affondare sotto i colpi della crisi. Ma invece di arrendersi, apre una mensa per i senzatetto, in una trasformazione personale che il film racconta con leggerezza.
Il vicino allenatore di calcio e la sua famiglia si trovano a vivere tutti insieme in pochi metri quadri, con i problemi di coppia e genitorialità che diventano impossibili da ignorare.
Un ricercatore (personaggio quasi grottesco) lavora disperatamente per trovare un vaccino, ma si muove tra le paranoie dei complotti, le teorie pseudoscientifiche e il disprezzo dei colleghi.

Analisi Monologo

Il testo del monologo è costruito come un flusso di pensieri che si incastra in modo naturale con il modo in cui un bambino ragiona: senza una struttura lineare, passando da un’osservazione tenera a una frase brutale, senza rendersi conto del peso delle parole.

“Una guerra senza soldati, non riesco a capire.”

Già l’apertura ci dice tutto: Basil prova a decodificare quello che sente dire in casa e in TV. Chiama la pandemia una “guerra” (come facevano i politici e i media), ma non trova i soldati. Per lui, quindi, la definizione non ha senso. È il primo scarto tra linguaggio adulto e comprensione infantile. Non è solo un fraintendimento: è la dimostrazione che le metafore che usiamo, spesso, non reggono alla prova della realtà.

“Applaudire le strade deserte” – “Sosteniamo gli ospedali da casa”

Qui entriamo nel cuore dell’assurdo quotidiano. Basil osserva il rituale degli applausi dai balconi con scetticismo. Non lo capisce, ma lo accetta quando gli viene spiegato dalla sorella. È interessante come nel film siano proprio i bambini a cercare coerenza in un mondo che improvvisamente ne è privo.

In poche frasi capiamo molto della dinamica familiare: la madre è un’assenza dolce (con quella frase sussurrata all’orecchio), il padre è un’autorità assoluta e un modello distorto. Basil lo imita e lo giustifica, anche quando dice cose atroci. Ma è proprio nella ripetizione innocente di quelle parole che emerge la critica del film.

“Io non mi farei le palle d’oro”

Qui siamo nel pieno di quella comicità involontaria che si mescola con la denuncia sociale. Il bambino prende alla lettera una frase idiomatica – "farsi le palle d’oro" – e la trasforma in un’immagine fisica. Fa ridere, sì, ma fa anche riflettere sul linguaggio cinico e materialista che ha assorbito senza filtri.

“Mio padre non fa il tifo per gli ospedali, ma per il Covid”

Questo è il cuore nero del monologo. È la frase che disvela completamente l’ipocrisia e l’egoismo di chi, durante la pandemia, ha visto nella crisi un’occasione economica o sociale. Il padre non è un villain da film; è una figura realistica, fin troppo. Rappresenta chi ha letto la pandemia come un “filtro sociale” utile a liberarsi dei più deboli.

Ma è importante: questa frase non la dice lui. La dice Basil. E proprio perché la dice un bambino, risulta ancora più feroce. È un pensiero ripetuto a casa, assorbito come fosse una verità qualsiasi. E il bambino lo riporta come un fatto.

Nel finale, il monologo tocca una serie di categorie sociali e le ripete secondo la logica del padre. Gli affittuari sono "lamentosi", gli ipocondriaci sono deboli, chi è scappato è un “cagasotto”. Basil non giudica: imita. E questo è il centro del discorso. Il film ci mostra come i bambini, in assenza di modelli alternativi, finiscono per assimilare i pensieri più distorti come se fossero normali.

Conclusione

Il monologo di Basil è uno specchio. Un riflesso distorto ma onesto del mondo adulto. Con la sua ingenuità e le sue battute involontarie, Basil diventa il personaggio che dice esattamente quello che gli altri pensano ma non dicono, oppure dicono ma si vergognano a sentir ripetere.

È un momento comico, ma non leggero. Anzi, proprio perché passa attraverso gli occhi di un bambino, riesce ad avere un peso tragico senza mai diventare retorico. È una critica sociale affidata a un personaggio che, per definizione, non sa di star criticando nulla. E proprio per questo il messaggio arriva più forte di qualsiasi dialogo “adulto”.

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