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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Riri Williams da è uno di quei momenti che definiscono il personaggio più di qualsiasi armatura o scontro. Non è solo un discorso su soldi e invenzioni, ma una dichiarazione di intenti e una confessione scomoda allo stesso tempo.
“Sono qui perché posso essere la più grande inventrice della mia generazione...”
Siamo all’inizio della serie, quando Riri è ancora in bilico tra le sue ambizioni e le regole di un sistema che non le appartiene. L’intervento è emblematico perché esplicita l’enorme tensione tra genio e risorse, etica e sopravvivenza. Riri non sta giustificando il suo comportamento: lo sta razionalizzando.
STAGIONE 1 ep 1
MINUTAGGIO: 3:00-6:00
RUOLO: Riri
ATTRICE: Dominique Thorne
DOVE: Disney+
ITALIANO
Sono qui perché posso essere la più grande inventrice della mia generazione. Il che non vuol dire molto senza le risorse per realizzare le mie idee. Dopo il mio “tirocinio all'estero” ho capito che mi serve l'equivalente di una montagna di vibranio per diventare grande; mi serve del cash. Soldi. Credete che Tony Stark sarebbe stato Tony Stark se non fosse stato un miliardario? Senza offesa, ma è così che gira il mondo. E l'IA per il mio prototipo già costa milioni di dollari che io chiaramente non ho. Quindi, si, le mie raccolte fondi sono un tantino sperimentali. Ma finché non ho quei soldi, devo arrangiarmi. Il mio metodo va oltre le regole e la burocrazia. Ho intenzione di portare avanti l'eredità del signor Stark e rivoluzionare la sicurezza. Le mie armature ridurrebbero i tempi di risposta dei paramedici, dei vigili del fuoco, delle squadre di ricerca eccetera. E questo metodo di innovazione comporta per forza dei rischi.
La serie Ironheart, approdata su Disney+ il 24 giugno 2025, rappresenta un'evoluzione del Marvel Cinematic Universe in una direzione più ibrida, dove la tecnologia incontra la magia in un contesto urbano, personale e psicologico. E da qui partiamo.
Riri Williams è una ex prodigio del MIT, introdotta in Black Panther: Wakanda Forever, che ora si ritrova a rientrare nella sua città natale, Chicago, dopo essere stata espulsa per aver facilitato atti di cheating accademico. Un dettaglio che definisce il tono dell'intera serie: Riri non è un’eroina pulita, non ancora almeno. È una ragazza brillante e ferita, che cerca uno scopo in un mondo che sembra averla già etichettata.
La morte della sua migliore amica Natalie e del patrigno Gary funge da motore narrativo e psicologico. E non è un lutto messo lì come sfondo — è il vero antagonista interno. Il dolore di Riri è così presente da assumere forma digitale: NATALIE, un’IA creata inconsapevolmente attraverso la mappatura cerebrale alterata di Riri, diventa una sorta di coscienza meccanizzata della protagonista. Un po’ HAL 9000, un po’ specchio della psiche adolescenziale.
Il glitch dell’IA non è solo un difetto tecnico: è il fantasma della colpa, della memoria, dell’elaborazione. Riri ha generato una presenza che non riesce a controllare, proprio come non riesce a gestire la perdita.
Parker è tutto quello che Riri non è: carismatico, radicato nel crimine urbano e (forse) con accesso a poteri soprannaturali. Ecco il cuore tematico della serie: tecnologia vs magia, cervello contro fede, macchina contro misticismo. Ma anche senso di colpa contro determinismo. Parker è convinto che il fine giustifichi i mezzi — e per questo è pericoloso. Per Riri, la domanda non è solo se seguire Parker, ma se accettare la propria ambiguità morale.
Nel terzo episodio, quando Riri riesce a tagliare un pezzo del suo cappuccio magico, si apre un’interessante parentesi su quanto quel potere sia reale o suggestivo. Ma la scena davvero centrale è il confronto con Zeke Stane, figlio di Obadiah Stane (il villain del primo Iron Man). Lì, la serie connette due generazioni: il passato industriale del MCU e il suo presente frammentato e metropolitano. Riri si definisce nel confronto con l’eredità di Stark, e in quel momento non cerca un’eredità di potere, ma di riparazione. Lei costruisce perché aggiustare è più intimo che distruggere.
Chicago è una città viva, ma rarefatta. Non c’è l’epica delle skyline marvelliane o il glamour di New York. Qui c’è pioggia, cemento, tunnel ferroviari e periferie, che fanno da sfondo a rapine e dialoghi carichi di ambiguità morale. Ogni episodio mette in discussione qualcosa: l’autorità accademica, l’etica hacker, il capitalismo aggressivo delle biotech.
«Sono qui perché posso essere la più grande inventrice della mia generazione...»
È un’affermazione di identità, ma anche una sfida al sistema che la giudica. È il tipo di frase che in bocca a un uomo più anziano e più bianco (vedi: Tony Stark) verrebbe considerata ambizione. In Riri suona quasi come arroganza. E lei lo sa.
«...il che non vuol dire molto senza le risorse per realizzare le mie idee.»
Questo è il nucleo della sua frustrazione. Il talento non basta. Serve accesso, capitale, fiducia. Il genio senza un’infrastruttura è solo rumore. È qui che Riri espone il suo vero nemico: l’iniquità strutturale. «Credete che Tony Stark sarebbe stato Tony Stark se non fosse stato un miliardario?» Qui Riri fa qualcosa di estremamente interessante: smonta il mito. Non contesta il talento di Stark, ma lo riconduce alle sue radici materiali. Non c'è retorica sull’eccezionalismo: c’è solo realismo brutale. Stark è stato chi è stato perché poteva permetterselo. Lei no.
«Quindi sì, le mie raccolte fondi sono un tantino sperimentali...»
E qui arriva la confessione. Riri non chiede di essere giustificata, chiede di essere capita. Sa che i suoi metodi sono discutibili, ma non ha alternative. Non è ribellione, è sopravvivenza pragmatica. «Il mio metodo va oltre le regole e la burocrazia...» Questa frase è un chiaro parallelismo con Tony Stark, ma in versione post-industriale, urbana e borderline illegale. Stark “saltava” la burocrazia grazie al suo status. Riri la aggira. Il principio è simile, il contesto è completamente diverso.
«Le mie armature ridurrebbero i tempi di risposta dei paramedici, dei vigili del fuoco, delle squadre di ricerca eccetera.»
Ed eccolo, il cuore etico del suo progetto. Riri non vuole creare armi o diventare un vigilante: vuole salvare vite. Questa è la vera eredità di Stark che vuole portare avanti. Non l’ego, ma l’impatto sociale della tecnologia.
«E questo metodo di innovazione comporta per forza dei rischi.»
Chiusura onesta. Nessuna promessa di perfezione, nessuna illusione. Solo la consapevolezza che ogni passo avanti, nel mondo reale, è sporco, rischioso e pieno di compromessi.
Questo monologo è un microcosmo perfetto della serie Ironheart. C’è ambizione, frustrazione, visione e disobbedienza. È il manifesto di una giovane mente che si muove in un sistema che non è stato costruito per lei. In queste poche righe, Riri fa a pezzi il mito del genio puro e lo ricompone con le sue mani: fatto di soldi, fallimenti, IA instabili e scelte moralmente ambigue.
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