Il Monologo della Madre di Arturo in “Sul più bello”: Orgoglio, Scelte e Libertà Emotiva

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo della madre di Arturo, breve ma densissimo, arriva in un momento chiave del film Sul più bello, e rappresenta uno di quei passaggi in cui il tono da commedia teen lascia spazio a qualcosa di più intimo e riflessivo. È un racconto che parla di famiglie spezzate, orgoglio, scelte e assenza, ma soprattutto è una sorta di chiave di lettura indiretta del personaggio di Arturo, che fino a quel momento rimaneva in parte opaco, trattenuto.

Fino a questo momento, la madre di Arturo è un personaggio secondario, inserita in quel mondo di borghesia torinese fatto di formalità, controllo, e silenzi pesanti. Ma in questo monologo, per la prima volta, vediamo la donna dietro la madre. Quella che ha sfidato le regole della famiglia per amore, che ha pagato il prezzo della ribellione, e che ora prova – con le parole – a passare il testimone al figlio.

Scegliere una vita

MINUTAGGIO: 1:30:00-1:31:30

RUOLO: Madre Arturo

ATTRICE: -

DOVE: Netflix

ITALIANO

Ti racconto una storia. Quando ho conosciuto tuo padre tuo nonno disapprovava. Tuo nonno sapeva essere duro, molto duro. Mi fece sedere proprio in questa stanza, e mi ordinò di lasciare tuo padre. Io gli tenni testa. A diciannove anni mi cacciò di casa, senza un soldo. E poi… quando Filippo si è laureato, e ha trovato un lavoro, ci siamo sposati. Una cerimonia semplice ma bella. Non solo lo avevo invitato, ma… ho sperato fino all’ultimo che fosse lui ad accompagnarmi all’altare. Non ha mai risposto. Un giorno… arrivò una telefonata. Era un notaio. Mio papà non c’era più. E insieme al testamento c’era un biglietto di poche righe. Lui al matrimonio c’era. Era troppo orgoglioso per farsi vedere, però… C’era. Arturo. Abbiamo sempre una scelta. Sempre.

Sul più bello

Sul più bello” è un film italiano del 2020 diretto da Alice Filippi, tratto dall’omonimo romanzo di Eleonora Gaggero. È una commedia romantica che cerca di fondere due elementi spesso trattati in maniera separata nel nostro cinema: il mondo adolescenziale e la malattia, ma con un tono dichiaratamente pop e leggero. La protagonista è Marta (interpretata da Ludovica Francesconi), una ragazza di 19 anni affetta da una grave malattia genetica, la fibrosi cistica. Ma Marta è vivace, ironica, buffa, sfrontata. In un certo senso è più viva degli altri, e ha una missione tutta sua: innamorarsi del ragazzo più bello di tutti.

Marta vive con i suoi due migliori amici, Jacopo e Federica. Un trio affiatato e protettivo, ma che lei stessa fatica a coinvolgere davvero nei suoi desideri più intimi. Proprio per questo, quando incontra Arturo (Giuseppe Maggio), il classico ragazzo affascinante, ricco, distante e ben inserito nel mondo borghese torinese, Marta vede in lui il suo “bersaglio”.

L’intera struttura del film si costruisce intorno a questa dinamica: Marta che, pur consapevole della sua condizione, vuole vivere una storia d’amore “normale”, con tutte le illusioni, gli inciampi e i colpi di scena tipici delle commedie sentimentali. Arturo inizialmente la frequenta per gioco, con un misto di superficialità e attrazione, ma il contatto con la vitalità di Marta lo mette a disagio, lo interroga.

Quello che sembra partire come un racconto convenzionale (la ragazza invisibile che conquista il principe) in realtà gioca spesso con i codici della commedia romantica americana, ma filtrati attraverso un gusto estetico volutamente pop e giovanile, quasi da teen drama.

Analisi Monologo

Il monologo si apre con una frase semplice ma efficace: “Ti racconto una storia.” Questa scelta è importante. Non inizia con un consiglio, né con un rimprovero. Inizia con una narrazione. Perché la madre sa che Arturo non ha bisogno di una lezione, ma di una memoria da raccogliere. E lo fa senza alzare la voce, con un tono quasi sommesso, quasi intimo.

La storia che racconta è un classico conflitto generazionale: una figlia che si innamora di un ragazzo che il padre non approva. Ma il modo in cui viene raccontato ci mostra una frattura profonda, quella tra affetto e orgoglio, tra amore e rigidità: “Mi fece sedere proprio in questa stanza, e mi ordinò di lasciare tuo padre.” Questa è una frase pesante. Non c’è spazio per il dialogo, non c’è affetto. C’è solo un ordine. Eppure lei resiste. Lo dice con poche parole, ma si capisce che dietro quella scelta c’è stata una rottura definitiva:

“A diciannove anni mi cacciò di casa, senza un soldo.” Il passaggio più toccante arriva nel momento in cui si capisce che, nonostante tutto, lei ha continuato a sperare: “Non solo lo avevo invitato, ma… ho sperato fino all’ultimo che fosse lui ad accompagnarmi all’altare.” Qui la scrittura è trattenuta, essenziale. Non c’è bisogno di spiegare quanto sia dolorosa questa frase. È il tipo di delusione che non viene mai urlata, ma che resta sotto la pelle.

Il colpo di scena – se così vogliamo chiamarlo – è in quella presenza invisibile del padre: “Era troppo orgoglioso per farsi vedere, però… C’era.” Ed è qui che si apre il cuore del discorso: l’orgoglio che rovina i rapporti, che tiene lontani anche quando l’amore c’è. Un tema che riguarda direttamente Arturo, che finora si è nascosto dietro la maschera del ragazzo perfetto, distante, incapace di mettersi in gioco davvero.

La madre, con questo racconto, non lo giudica, ma gli offre una possibilità. Gli dice, quasi sottovoce: “Arturo. Abbiamo sempre una scelta. Sempre.” È una frase che non impone, ma libera. Come a dire: “Non sei condannato a ripetere la storia di tuo nonno. Puoi essere diverso.”

Conclusione

Questo monologo funziona come un contrappunto emotivo all’intera vicenda. Dove Marta ha costruito la sua identità sfidando la fragilità del corpo, qui la madre di Arturo racconta come si può costruire la propria dignità sfidando le gabbie familiari.

Non ci sono frasi epiche, non c’è retorica. Ma c’è una donna che, per un attimo, si lascia vedere. E nel farlo, dice a suo figlio: “Sii libero. Non farti paralizzare dalla paura di deludere, né dal bisogno di essere perfetto.”

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