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Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Nel contesto della serie Sara – La donna nell’ombra, Tarallo rappresenta l’uomo pubblico, il leader di un movimento che gioca con il tema della sicurezza, l’uomo che usa il crimine per consolidare consenso. Il monologo si colloca in un momento molto delicato: è appena stato “trovato” il presunto responsabile degli omicidi di Sergio (il giovane agente sotto copertura) e di Gaspare Russo, figura centrale nel traffico e sfruttamento del lavoro bracciantile.
La conferenza stampa è il palcoscenico perfetto per Tarallo. Ma ciò che ci viene mostrato non è solo un resoconto dei fatti: è una costruzione strategica del messaggio politico, condita da retorica emotiva e appigli populisti. Eppure, c’è un attimo – breve, ma essenziale – in cui il tono si incrina. È lì che si apre uno spiraglio sull’uomo dietro il ruolo.
STAGIONE 1 EP 3
MINUTAGGIO: 19:12-21:34
RUOLO: Tarallo
ATTORE: Antonio Gerardi
DOVE: Netflix
ITALIANO
Buongiorno a tutti. Ho appena parlato con il questore, e abbiamo il responsabile degli omicidi di Gaspare Russo, caporale nei campi di pomodoro e del nostro Sergio. Si chiama Kamil Usman- E’ risultato essere un immigrato irregolare, è stato arrestato poco fa. Non ha opposto resistenza e ha dichiarato el sue colpe. Sergio probabilmente era in quella zona come spesso faceva perché era un ricercatore. Era uno che prendeva iniziative… scusate. E’ questo che mi piaceva di lui. Del resto, il lavoro è una delle tante piaghe del nostro Paese, in modo particolare si concentra nella nostra regione, nella Campania. Probabilmente Gaspare Russo e Kamil Usman hanno intercettato Sergio e quella che doveva essere una lezione, volevano spaventarlo, probabilmente… si è trasformata in omicidio. Noi abbiamo perso un amico. Io ho perso un amico. I miei collaboratori si sono preoccupati al punto di pensare che mollassi. Allora colgo l’occasione di questa conferenza per rassicurare tutti:IO NON MOLLO. Non ho nessuna intenzione di mollare, lo devo a Sergio, e continueremo a lottare per il nostro unico obiettivo: “Più liberi, più sicuri”. Questo è.
Tutto inizia in un modo che richiama i romanzi hard boiled più cupi: una telefonata nel cuore della notte. Sara Morozzi, ex agente dei servizi segreti, riceve la notizia della morte del figlio, Giorgio. L’uomo è stato investito da un’auto. Tutto sembra un tragico incidente, eppure qualcosa non torna. Il medico alla guida racconta una versione che turba profondamente Sara: Giorgio si sarebbe lanciato contro l’auto. Questa informazione è il detonatore. Sara, che per anni ha vissuto lontana da tutto e da tutti, scompare da sé stessa per tornare a quello che era: un’analista, un’investigatrice, una donna addestrata a vedere dove gli altri non guardano. Inizia a scavare nella vita del figlio, che non vedeva da tempo. Scopre che lavorava per una multinazionale chimica e aveva una relazione con Viola, una giovane incinta all’ottavo mese. Per andare più a fondo, Sara rompe l’isolamento e si riaffaccia nel suo vecchio mondo. Chiama Teresa, vecchia collega dei tempi dei Servizi, interpretata da Claudia Gerini. Le due donne, un tempo un team affiatato nel campo delle intercettazioni ambientali, si ritrovano complici in una missione senza bandiere. La trama si apre così a una seconda linea narrativa: quella del passato che torna, dei debiti non pagati, dei traumi mai del tutto sepolti.
Attraverso la lettura del labiale – specialità di Sara nei suoi anni da agente – e l’accesso ai tabulati telefonici, la verità comincia a prendere forma. Sara è convinta che Giorgio sia stato ucciso per qualcosa che aveva scoperto sul lavoro. La multinazionale petrolchimica non è pulita e lui ci aveva messo il naso. Ma il noir, si sa, è un genere che ama il doppio fondo: ciò che sembra una cospirazione si rivela, forse, molto più personale. La serie non si ferma alla morte di Giorgio. A complicare tutto arriva un secondo evento: Sergio, giovane agente sotto copertura e amante di Teresa, viene ucciso. Teresa chiede a Sara di intervenire. La vicenda prende una piega ancora più cupa, toccando temi come l’immigrazione sfruttata (con la falsa confessione di un bracciante nigeriano), la corruzione sistemica, e i giochi di potere interni ai Servizi.
Qui il personaggio di Andrea Catapano (Francesco Acquaroli) porta alla luce altri frammenti del passato: registra vocali lasciati da Massimiliano, ex capo e amore perduto di Sara, morto anche lui in circostanze oscure. Questi messaggi riportano Sara indietro nel tempo, al momento in cui ha scelto la carriera a discapito della maternità. Le due indagini (la morte del figlio e quella di Sergio) iniziano a sovrapporsi, entrambe legate a quel mondo fatto di verità parziali, fedeltà fragili e silenzi lunghi una vita. Il vero cuore della serie non è la risoluzione del caso – che pure c’è – ma il viaggio interiore di Sara. Non cerca redenzione, né vuole perdono. Vuole chiarezza, vuole giustizia, vuole dare un senso alla morte del figlio e alla sua stessa vita.
Nel rapporto con Viola, la fidanzata di Giorgio, c’è forse la scena più inattesa: una costruzione lenta, non scontata, tra due donne che non hanno nulla in comune ma che finiscono per diventare una famiglia. Un legame che va oltre la genetica. E poi c’è Davide Pardo, il poliziotto marginalizzato ma onesto, che rappresenta il volto umano della legge, in contrasto con l’efficienza gelida di Sara.
«Buongiorno a tutti. Ho appena parlato con il questore...» L’apertura è formale, quasi automatica. Tarallo si pone subito nella posizione di chi ha accesso alle istituzioni, di chi è dentro la stanza dei bottoni. Non è uno che commenta: è uno che agisce. O almeno, così vuole mostrarsi. «...e abbiamo il responsabile degli omicidi di Gaspare Russo […] Si chiama Kamil Usman – È risultato essere un immigrato irregolare...» Qui si attiva la parte più manipolatoria del discorso. Tarallo non si limita a dare notizia di un arresto, ma costruisce un profilo mediaticamente perfetto del colpevole: immigrato irregolare, arrestato senza opporre resistenza, reo confesso. Tutto è troppo ordinato, troppo funzionale. L’obiettivo è evidente: creare un racconto in cui l’altro, lo straniero, diventa il nemico perfetto.
«Sergio probabilmente era in quella zona come spesso faceva perché era un ricercatore. Era uno che prendeva iniziative… scusate. È questo che mi piaceva di lui.» Ed ecco il momento più delicato: una pausa, un cedimento. Tarallo si emoziona. Non è solo un leader, è un uomo che ha perso un amico. Questo breve stacco emotivo è costruito per umilizzare la figura pubblica, renderla “vicina” al pubblico. È un trucco vecchio quanto la retorica politica, ma qui funziona: non solo per lo spettatore, ma per chi, nella finzione, è chiamato a credere in lui. «Del resto, il lavoro è una delle tante piaghe del nostro Paese, in modo particolare si concentra nella nostra regione, nella Campania.» Questa frase è il vero passaggio chiave. Tarallo non parla davvero di Sergio. Sta già riportando il discorso sul suo binario: quello delle problematiche sociali come leva per il consenso. Cita “il lavoro” come piaga nazionale, ma evita accuratamente qualsiasi riferimento a responsabilità sistemiche, al caporalato, alla corruzione. Il problema è esterno. Il male è sempre fuori.
«Allora colgo l’occasione di questa conferenza per rassicurare tutti: IO NON MOLLO.» Il tono cambia di nuovo. Ora è slogan. È messaggio da comizio. Il dolore personale è stato archiviato per tornare al ruolo. E l’uso del maiuscolo (nella trascrizione e nell’enfasi recitativa) lo conferma: Tarallo torna ad essere Tarallo, l’uomo che guida, che promette, che rilancia. Un vero leader, nella sua ottica, non si spezza. Non si ferma. Lotta. «Lo devo a Sergio, e continueremo a lottare per il nostro unico obiettivo: ‘Più liberi, più sicuri’. Questo è.» La chiusura è perfettamente funzionale. C’è una giustificazione personale (“lo devo a Sergio”), c’è un nemico esterno (l’insicurezza), e c’è uno slogan semplice e replicabile. È il tipo di frase che si può stampare su una maglietta, su un volantino, o trasformare in hashtag. È comunicazione politica travestita da elaborazione del lutto.
Il punto non è se Tarallo creda davvero in ciò che dice. Il punto è che sa esattamente cosa dire, come dirlo e quando dirlo. In una serie dove la verità è spesso una costruzione, il monologo di Tarallo è lo specchio perfetto del potere contemporaneo: emotivo quanto basta, concreto quel tanto che serve, ambiguo al punto giusto per non doversi mai davvero giustificare.
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