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~ LA REDAZIONE DI RC
Il settimo episodio di Sandokan (2025), intitolato “Morte di un pirata”, è uno dei capitoli più cupi e melodrammatici della stagione: intreccia verità sepolte, torture, tradimenti politici e un amore ormai impossibile. La puntata stringe il cerchio attorno a Sandokan e al mistero delle sue origini Dayak, mentre Marianna scopre che il suo mondo “civilizzato” è costruito su menzogne, manicomio e schiavitù. Qui sotto trovi la trama completa dell’episodio 7 e la spiegazione del finale, incluso il colpo di scena conclusivo: Sandokan trovato morto in cella, poche ore prima dell’impiccagione.

L’episodio si apre con il Console immerso nel ricordo del giorno in cui sua moglie si tolse la vita, un trauma che torna mentre aspetta disperatamente che Marianna rientri sana e salva. Marianna, infatti, è in piena tempesta mentale: non riesce a dimenticare le parole di Sandokan sulla strage del suo popolo e sul coinvolgimento di suo padre. Va da Murray e gli chiede, senza più giri di parole, se lui e suo padre fossero in Malesia trent’anni prima. Murray nega, dicendo che a quell’epoca era territorio solo del Sultano, ma lo spettatore capisce che è una bugia: la verità è più sporca di quanto le istituzioni ammettano. Nel frattempo Sandokan prova a organizzare una controffensiva contro gli uomini del Sultano, ma nasce subito una frattura: il comandante dei soldati non accetta ordini da lui. È una spaccatura di autorità e di identità, come se Sandokan fosse ancora “un corpo estraneo” anche quando combatte la stessa battaglia. Nel bosco, Yanez si muove con alcuni pirati e si imbatte nelle guardie del Sultano: decide di rubare una delle loro barche nottetempo, scelta pratica e disperata per rimettersi in moto. Gli uomini del Sultano arrivano al villaggio e subiscono un’imboscata orchestrata da Sandokan con alcuni Dayak: per un momento sembra che il piano funzioni, ma quando Sandokan chiede al capo guerriero di muoversi come concordato, il capo guerriero e i suoi restano nascosti, sabotando tutto. È un tradimento freddo: l’uomo odia Sandokan e preferisce vederlo cadere piuttosto che riconoscerlo come guida. Il risultato è immediato: Sandokan viene catturato. Tornati all’accampamento, i Dayak mentono dicendo che Sandokan è morto in battaglia, e Sani si sente colpevole, schiacciata dal peso di una profezia che sembra spezzarsi davanti ai suoi occhi.
Sul veliero, Brooke e Marianna parlano degli ultimi avvenimenti. Marianna rivela che Sandokan è Dayak e che suo padre ha ucciso la tribù di Sandokan. Brooke, però, si aggrappa alla versione di Murray e conclude che Sandokan abbia mentito per manipolarla. Marianna, nonostante tutto, ringrazia Brooke per averla salvata: è una gratitudine vera ma dolorosa, perché non cancella il fatto che lui rappresenti comunque il mondo che le sta crollando addosso. Intanto Yanez arriva alle miniere e vede con i suoi occhi il trattamento degli schiavi: corpi ridotti a strumenti, violenza sistematica, umiliazione come metodo. La visione riapre anche il suo passato di ex prete e gli orrori già visti in altri contesti. Decide di non intervenire e di ripartire per mare con Emilio, ma sulla costa Emilio cambia idea e si butta in mare: vuole tornare da Sani, vuole difendere i Dayak. È un gesto impulsivo e romantico, ma anche una presa di posizione morale. Brooke decide di rivelare un segreto enorme a Marianna: Ida, la sua serva, è in realtà sua madre. È una confessione che ribalta la percezione di Brooke e spiega molte sue fragilità. Marianna vorrebbe a sua volta confessargli il bacio con Sandokan, ma Brooke la interrompe dichiarandole amore e aspettandosi una risposta: mette il sentimento sul tavolo come ultima ancora, mentre Marianna è già trascinata altrove dal peso della verità. Sandokan viene portato al cospetto del Sultano. Il Sultano vuole sapere il “prezzo” di Sandokan: dove sono le tribù ribelli, quali villaggi nascondono i fuggitivi, chi organizza la resistenza. Ma quando vede il ciondolo di Sandokan – il dente di tigre – riconosce subito il simbolo e cambia volto: è sconvolto, smette di giocare. Sandokan, dalla sua visione, ricorda quel volto e lo inchioda con una frase identitaria: lui è “il figlio della Tigre”. A quel punto il Sultano ordina la tortura fino alla confessione. Sandokan viene spezzato fisicamente, ma resta in piedi nello sguardo: resiste, rilancia, gli dice che i Dayak non moriranno mai e che invece sarà il Sultano a morire. Il Sultano risponde marchiandolo col fuoco, un gesto che non serve solo a far male, ma a “scrivere” il dominio sul corpo del nemico. Intanto il consigliere del Sultano gli rivela che Marianna si è ricongiunta con suo padre: la partita politica e personale si riaccende.
Al consolato la zia di Marianna intuisce che c’è qualcosa di strano nel comportamento di Ida con Brooke e inizia a indagare, ma Brooke e Marianna rientrano e la situazione si ricompone in superficie. Marianna corre dal padre, Ida corre da Brooke e prova a nascondere il loro legame. Brooke ha poi un confronto con il Console, che finalmente lo guarda con occhi diversi: non più come semplice “uomo d’azione”, ma come qualcuno che sa cose e muove pedine. Brooke rivela i piani del Sultano e che alcune truppe ribelli hanno convinto Sandokan di essere Dayak e che la sua tribù sarebbe stata uccisa 25 anni prima… dagli inglesi. Il Console ha un momento di titubanza, una crepa nel controllo. Anche Marianna ha quello stesso timore, ma il Console prova a chiudere la questione dicendo che fino a quindici anni prima gli inglesi non potevano entrare. È una risposta che suona più come difesa che come verità. Marianna, intanto, continua ad avere dubbi. Parla col padre della crudeltà nelle miniere e del Sultano, ma non ottiene le risposte che sperava: l’uomo resta opaco, come se la sua biografia avesse zone vietate. Fuori incontra Brooke, che ora appare diverso: meno arrogante, più attento, disposto ad ascoltare davvero. Ma la mattina dopo arriva la scena che rompe ogni equilibrio: Sandokan, devastato dalle torture, viene condotto al cospetto del Sultano davanti a tutti. È un’esposizione pubblica dell’umiliazione.
Marianna va fuori di sé. Si scaglia contro il Sultano, poi vede il sangue ovunque, sul corpo e sul volto di Sandokan, e sviene. Brooke capisce in quel momento la verità più scomoda: il legame tra Marianna e Sandokan è reale. E prende una decisione brutale: Sandokan deve essere impiccato. Ida prova a dirgli che quel legame rimarrà intatto comunque, ma Brooke la caccia e torna a fumare oppio, come se la dipendenza fosse l’unico modo per reggere il crollo di ciò che prova.
Marianna riceve la visita di un dottore mandato per controllare la sua verginità. Lei lo caccia via con un coltello, rifiutando l’ennesima violazione travestita da “cura”. Il dottore riferisce al Console che i sintomi parlano chiaro: isteria, come la madre. Marianna ascolta e viene travolta: non è solo insulto medico, è la minaccia di essere “archiviata” nello stesso modo in cui è stata archiviata sua madre. Nottetempo gli uomini del Sultano rapiscono Ida, con l’accordo della zia di Marianna, rendendo chiaro che la casa è ormai un campo minato e che la zia non è solo una presenza fastidiosa: è una burattinaia. La mattina dopo, indossando il vestito della madre, Marianna inizia a trovare bigliettini e brandelli di lettere lasciate dalla mamma. Il messaggio è devastante: sua zia aveva orchestrato tutto, convincendo il padre della “pazzia” della moglie e facendola chiudere in manicomio nel momento di massima debolezza. La madre, oltre la morte, le lascia un invito: non arrendersi e lottare per la libertà. Marianna diventa sempre più furiosa e lucida: non è pazza, è circondata da persone che hanno usato la parola “pazzia” per zittire una donna. Il Console convoca Brooke e gli dice che non gli darà mai in sposa sua figlia perché ha scoperto la sua discendenza indù. Brooke resta sconvolto: capisce che anche lui, nel mondo coloniale, può essere “squalificato” in base al sangue. Tornato in camera, vede sul volto di Ida tracce di tortura: è mortificata, spezzata. Brooke però la assolve e la chiama mamma: non è colpa tua. È un momento in cui la durezza di Brooke si incrina e lascia intravedere il ragazzo che è stato prima di diventare il cacciatore di pirati. Marianna riceve la visita della zia e, ormai consapevole, la minaccia con un coltello. La zia confessa. Marianna corre dal padre e gli vomita addosso odio e menzogne: se ha mentito sulla madre, allora lui e Murray hanno mentito anche su Sandokan e i Dayak. Messo alle strette, l’uomo confessa con la frase più fredda possibile: “Ho fatto solo il mio dovere. Non odiarmi per questo.” Per Marianna, però, il dovere non è un alibi. Decide che c’è un solo modo per riscattarsi: liberare gli schiavi e Sandokan. Il Console la definisce pazza e le impone Londra. Lei scappa e torna sul punto di buttarsi da una rupe, come se la vita le avesse lasciato solo il salto come uscita. A fermarla è Brooke, che dice di sapere come salvare Sandokan, ma a un prezzo: Marianna dovrà rinunciare a lui. Non come minaccia, ma come verità inevitabile. Brooke ha un piano.
Marianna torna a casa, guarda Murray in faccia. Lui è imbarazzato, schiacciato dagli eventi e dalle omissioni. Marianna gli chiede un atto di pietà. Murray acconsente a farle vedere Sandokan nelle prigioni, in condizioni migliori rispetto alle torture pubbliche. Poi lui e gli altri lo lasciano solo. Marianna si scusa per non aver creduto. Sandokan le confessa che ha pensato sempre a lei e che ha resistito alla tortura grazie a lei, e che lei sarà il suo ultimo pensiero il giorno dopo, prima di morire. Si baciano: “questa notte è per sempre”. La mattina dopo, mentre tutti aspettano l’impiccagione, una guardia trova il corpo di Sandokan in cella: senza vita. E la domanda chiude l’episodio come una ferita aperta: com’è morto? È davvero morto?
Il finale di “Morte di un pirata” è costruito come un colpo doppio: romanticamente assoluto e narrativamente ambiguo. Da un lato c’è la scena del bacio in cella, che chiude il cerchio emotivo tra Marianna e Sandokan: lui, devastato, dice che resiste grazie a lei; lei, finalmente lucida, si scusa per non aver creduto e sceglie di esserci. È un amore che non ha più spazio per il “se”: è già un addio. La frase “questa notte è per sempre” non è solo dichiarazione, è una scelta di memoria: qualunque cosa accada dopo, quel momento diventa la loro verità intoccabile.
Dall’altro lato c’è l’enigma: Sandokan trovato morto in cella prima dell’impiccagione.
A livello drammaturgico questa è una mossa perfetta perché crea tre letture possibili, tutte coerenti con ciò che l’episodio ha seminato. La prima lettura è la più immediata: Sandokan potrebbe essere morto per le torture e le ferite, cedendo nella notte. Ma la puntata insiste sul fatto che nelle prigioni era “in condizioni migliori” e che l’impiccagione era prevista il giorno dopo: la messa in scena suggerisce che non sia una morte “naturale”, ma un evento. La seconda lettura è l’omicidio politico: Sandokan è troppo pericoloso vivo, troppo simbolico come “figlio della tigre”, e qualcuno potrebbe aver deciso di eliminarlo prima di concedergli la scena pubblica dell’impiccagione. Sarebbe coerente con il Sultano, che quando riconosce il ciondolo smette di giocare e passa al controllo totale. La terza lettura è la più intrigante e seriale: un falso decesso orchestrato, un modo per sottrarlo alla forca. Ed è qui che entra in gioco Brooke e il suo “piano”: Brooke dice di saperlo salvare, ma a costo di rinunciare a lui. Se Brooke ha davvero un piano, una morte in cella potrebbe essere la copertura perfetta per far sparire Sandokan senza scatenare la reazione immediata del Sultano o del Console. La serie, chiudendo con la domanda “possibile che sia morto?”, invita apertamente lo spettatore a dubitare della realtà dell’immagine.

“Morte di un pirata” è l’episodio in cui Sandokan (2025) alza la posta sul serio: Sandokan diventa martire, Marianna diventa ribelle consapevole, e Brooke rivela la sua frattura interna tra sentimento, potere e dipendenza. Il cliffhanger finale – Sandokan morto in cella prima dell’impiccagione – è un gancio narrativo perfetto perché non chiude, ma spalanca: se è morto, la storia cambia genere; se non è morto, qualcuno lo ha salvato e la guerra diventa personale per tutti. In entrambi i casi, la Tigre della Malesia non può più tornare indietro, e nemmeno Marianna.

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