Untamed: il monologo di Mitch e la tragedia di Caleb

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo nel secondo episodio di Untamed quando, a pochi minuti dalla fine, Mitch (interpretato da William Smillie) lascia cadere una frase apparentemente marginale. In realtà, si tratta di uno snodo emotivo ed espositivo fondamentale. In poco più di un minuto, questo monologo getta luce sull'evento più traumatico della vita di Kyle Turner: la morte del figlio Caleb. E lo fa senza enfasi, senza lacrime. Solo con quella durezza pragmatica tipica di chi ha già messo il dolore da parte per poter continuare a funzionare nel presente.

Il trauma di Kyle e Caleb

STAGIONE 1 EP 2

MINUTAGGIO: 41:00-42:16
RUOLO: Mitch
ATTORE: William Smillie

DOVE: Netflix



Si, circa cinque, sei anni fa. Era nel parco a fare un’escursione di ragazzini. Se non sbaglio Caleb si allontanò dal gruppo. Nessuno si preoccupò troppo perché… beh, era sempre là fuori con Turner. Cavolo, Caleb conosceva quei boschi meglio degli istruttori. Ma persero le sue tracce. E uno stronzo squilibrato lo prese senza farcene accorgere… Si misero tutti a cercarlo. Due giorni dopo, Turner trovò il suo corpo su una riva del lago Grouse. Quella tragedia ha rovinato Turner. Ha iniziato a bere tanto, avrebbe perso il distintivo, se Souter non lo avrebbe aiutato. Fatto sta che è un rompicazzo, sul posto di lavoro. Ma almeno ha un buon motivo. 

Untamed: trama e finale (con spoiler)

La trama di Untamed, la miniserie thriller di Netflix in sei episodi, è un viaggio tra le ombre del passato e i silenzi assordanti della natura selvaggia. Ma è anche un’indagine stratificata che, come il parco in cui si svolge, nasconde più di quanto mostra. Lo Yosemite non è semplicemente lo scenario: è un terreno vivo, pieno di tracce, minacce e fantasmi. Proprio come la coscienza del protagonista. Kyle Turner (Eric Bana) è un ranger dell’Investigative Services Branch del National Park Service, assegnato allo Yosemite dopo anni lontano da tutto. Un uomo segnato dalla tragedia: ha perso suo figlio Caleb anni prima, e da allora convive con un senso di colpa talmente ingombrante da diventare quasi un personaggio a parte.

Turner non cerca solo un colpevole: cerca una via d’uscita da se stesso.

Tutto inizia quando il corpo senza vita di una giovane donna – soprannominata Jane Doe – viene trovato appeso a una corda da scalata. All’inizio sembra un incidente, poi si scopre che è stata uccisa: ha un proiettile nella gamba. L’indagine si apre e si complica subito: niente è come sembra, e a ogni pista seguita corrisponde una nuova crepa nel fragile equilibrio del parco. La ragazza si chiama in realtà Lucy, ed è la figlia illegittima di Paul Souter (Sam Neill), il capo della polizia del parco. Lucy voleva confrontarsi con l’uomo che l’aveva abbandonata, ma l’incontro si trasforma in uno scontro tragico: Souter, sopraffatto dalla paura e dal senso di vergogna, la minaccia con un’arma, e lei si butta giù da una scogliera per non dargli la possibilità di ucciderla. Quando la verità viene a galla, Souter si toglie la vita.

Parallelamente, Turner scopre che Shane Maguire, il guardiacaccia recluso nei boschi, è coinvolto in un traffico illegale: ha coperto l’esistenza di un laboratorio di produzione di droga nascosto in una miniera abbandonata. Il tutto camuffato da attività legate alla fauna. Quando Kyle lo affronta, Maguire lo ferisce gravemente, ma viene ucciso da Naya Vasquez (Lily Santiago), la giovane ranger che aveva deciso di seguirlo di nascosto. Questa parte della trama – il laboratorio nascosto – è quasi un sottotesto simbolico: qualcosa di tossico cresce in segreto nel cuore del parco, proprio come il dolore mai elaborato dei personaggi.

Caleb, il figlio di Turner, è morto da anni. Non è mai realmente presente nella storia: è una proiezione, una voce nella mente di un uomo che non riesce a lasciarlo andare. Caleb è stato ucciso da un predatore sessuale di nome Sean Sanderson, a sua volta ucciso da Maguire per ordine implicito di Jill Bodwin (Rosemarie DeWitt), l’ex moglie di Kyle. Lei, accecata dal dolore e dalla sete di giustizia, aveva messo in moto una spirale di vendetta che ora sta venendo a galla pezzo dopo pezzo. La scoperta arriva attraverso delle fototrappole piazzate nel parco: immagini che mostrano l’omicidio di Sanderson, incastrando definitivamente Maguire.

L’ultimo episodio chiude molti fili. Turner, sopravvissuto alla caccia nei boschi, ha ormai fatto i conti con il proprio passato. Ha scoperto la verità su Lucy, su Souter, su Jill, su Maguire e, soprattutto, su se stesso. Il suo rapporto con Caleb – costruito nella mente ma vivido quanto basta – si spezza nell’ultima scena.

Kyle lascia il parco. Raccoglie le sue cose e se ne va. Non ci viene detto dove, ma il messaggio è chiaro: il ciclo è finito. Untamed non è una storia di redenzione convenzionale. Turner non viene “salvato”. Ma ha finalmente fatto silenzio dentro di sé. E ora, può camminare.

Analisi Monologo

"Era nel parco a fare un’escursione di ragazzini… Caleb si allontanò dal gruppo." La tragedia prende forma nella semplicità di un’escursione. Nessuna situazione straordinaria, nessun pericolo annunciato. Solo un ragazzino che si allontana in un luogo che conosceva perfettamente. Ed è proprio questo il paradosso: Caleb era “di casa” nel bosco, eppure proprio lì è stato rapito e ucciso. È il primo punto di frattura: il parco non è più un rifugio, ma un tradimento. "Uno stronzo squilibrato lo prese senza farcene accorgere."

Mitch non nomina mai l’assassino per nome. Lo riduce a una categoria: "uno squilibrato". È un modo per tenere la cosa a distanza, per non personalizzare l’orrore. Ma allo stesso tempo c’è una durezza nel tono: il crimine è accaduto sotto gli occhi di tutti, e nessuno ha potuto fare niente. "Due giorni dopo, Turner trovò il suo corpo su una riva del lago Grouse." Questo è il punto centrale, e Mitch lo dice quasi sottovoce. Turner trova suo figlio morto. Non c’è patetismo, non c’è musica, non c’è enfasi. Solo una riga di dialogo che pesa come un macigno. Perché è lì che Untamed definisce il trauma fondante del suo protagonista.

"Ha iniziato a bere tanto, avrebbe perso il distintivo, se Souter non lo avrebbe aiutato." Kyle è un uomo frantumato, tenuto in piedi più da altri che da sé stesso. Souter lo protegge, ma probabilmente anche per senso di colpa. Il comportamento di Turner – la sua rabbia, la sua rigidità – non è solo caratteriale: è un sintomo. "Fatto sta che è un rompicazzo, sul posto di lavoro. Ma almeno ha un buon motivo." La chiusura del monologo è perfetta nel suo realismo. Mitch non cerca di fare filosofia: riconosce il dolore, ma lo inquadra nel contesto del lavoro. È un modo secco per dire: non lo sopporto, ma lo capisco. Ed è questa la forma più sincera di empatia che Untamed concede ai suoi personaggi: non abbracci, ma comprensione concreta.

Conclusione

Il monologo di Mitch è uno di quei momenti secondari che diventano fondamentali. In meno di 90 secondi, ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sull’origine del dolore di Kyle Turner.

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