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~ LA REDAZIONE DI RC
Tra i momenti più emblematici di I Fantastici Quattro – Gli inizi, il monologo di Dan Gilbert, conduttore del Ted Gilbert Show, racchiude una visione collettiva del mito supereroico, costruita e restituita attraverso gli occhi della società. Questo discorso, pronunciato durante la cerimonia pubblica che celebra il quarto anniversario del ritorno sulla Terra dei Fantastici Quattro, è un manifesto, una narrazione pubblica che mette in scena il bisogno dell’umanità di costruirsi simboli e figure guida.
MINUTAGGIO: 2:40-8:16
RUOLO: Ted Gilbert
ATTORE: Mark Gatiss
DOVE: Al cinema!
Adesso gente… gente, sappiamo tutti la storia: quattro coraggiosi astronauti vanno nello spazio, si imbattono in una turbolenza cosmica e tornano cambiati per sempre, non solo le molecole del loro corpo, ma anche il loro posto nei nostri cuori. E ora, torniamo indietro. Quattro anni fa l’umanità ha conquistato l’ultima frontiera sconosciuta: l’esplorazione dello spazio. Tuttavia, la spedizione del Dottor Richards fu segnata da un evento inaspettato che non cambiò solamente le vite di questi coraggiosi individui, ma anche il corso della nostra storia. E sono tornati con dei superpoteri. Sono diventati i nostri protettori. E quando Mad Thinker ha tentato di mettere in ginocchio New York, i Fantastici Quattro sono venuti a salvarci. Hanno sconfitto Fantasma Rosso, e le sue super scimmie. Sono diventati la nostra ispirazione. E sono diventati i nostri leader. In occasione di questo quarto anniversario, noi li celebriamo. Loro sono il meglio di noi, loro sono… i Fantastici Quattro! Siamo fieri di chiamarli le nostre guide, i nostri protettori, e nostri amici. Facciamo un applauso per Reed, Sue, Johnny e Ben!
Matt Shakman firma il ritorno dei Fantastici Quattro nel Marvel Cinematic Universe, aprendo la Fase Sei con un film che spinge il gruppo direttamente dentro un conflitto cosmico, ma che affonda le radici nel personale, nel familiare, nel fragile equilibrio tra genitorialità, responsabilità e paura dell’ignoto. Questo non è solo un film sulle origini: è un film sul confrontarsi con ciò che viene dopo. Con ciò che si è generato.
Siamo su Terra-828. Sono passati quattro anni da quando Reed, Sue, Johnny e Ben hanno ottenuto i loro poteri. Ma ciò che li rende davvero una squadra non è la mutazione, è l'intimità. Il film apre su una cena familiare, momento tenero e tranquillo che verrà subito travolto da qualcosa di molto più grande: Silver Surfer appare e annuncia l’arrivo imminente di Galactus, colui che consuma pianeti per sopravvivere.
Da qui si snoda una trama che alterna momenti da space opera pura a crisi interiori personali. Reed è ossessionato dal legame tra l’esposizione ai raggi cosmici e l'arrivo della creatura. Sue è incinta e, pur consapevole del pericolo, è determinata a portare avanti la gravidanza. Johnny resta il più impulsivo, ma comincia a mostrare sprazzi di responsabilità. Ben è il più terreno, il collante emotivo del gruppo. Il tono è quello di una tragedia familiare vestita da blockbuster.
Il viaggio verso Galactus li porta a una delle rivelazioni centrali del film: il divoratore non è solo affamato di pianeti – vuole il figlio di Sue, Franklin, che ancora non è nato. Lo percepisce. Lo sente. Questo bambino è una fonte di energia talmente potente da interferire persino con il metabolismo cosmico di Galactus. Ed è qui che il film comincia davvero a girare su un asse diverso: quello del destino, del sacrificio, del potenziale pericoloso del potere.
Sue partorisce durante un inseguimento spaziale, mentre il team fugge dalla macchina cosmica di Galactus. È una delle sequenze più tese e surreali dell’MCU finora: nascita e morte, creazione e distruzione si sovrappongono visivamente e tematicamente.
Ma il ritorno sulla Terra non porta sollievo. Dopo una disastrosa conferenza stampa, l'opinione pubblica si rivolta contro i Fantastici Quattro. Il mondo è paralizzato dalla paura e inizia a domandarsi: vale davvero la pena rischiare l’estinzione dell’intero pianeta per non sacrificare un neonato? Qui il film assume tonalità quasi politiche, con una narrazione che richiama certi film catastrofici anni ‘70 – e un tono cupo che spiazza.
È Franklin Richards, il vero punto di svolta del film. Non tanto come personaggio, quanto come concetto: lui è una forza latente. Il bambino è l’incarnazione del potere puro e dell’innocenza assoluta – un paradosso potentissimo in un film che parla proprio di responsabilità e destino.
Dopo il fallimento del piano di Reed, che prevedeva di spostare la Terra lontano dalla traiettoria di Galactus attraverso una rete di portali quantici, la squadra si gioca l’ultima carta: usare Franklin come esca per attirare Galactus nel portale rimasto operativo a Times Square. È un piano disperato: la città è deserta, evacuata. Aiutano anche vecchi alleati, come l’Uomo Talpa.
Ma il piano fallisce. Galactus riesce a prendere il bambino, e quando tutto sembra perduto, Sue si ribella. Usa i suoi poteri per trattenere Galactus abbastanza a lungo da farlo finire nel portale. Tutto questo costa caro: Sue Storm muore per lo sforzo.
E lì, in un momento completamente atipico per un cinecomic Marvel, il film si prende una pausa totale dal rumore. I superstiti – Reed, Ben, Johnny – si inginocchiano accanto a Sue, che giace senza vita. Franklin si appoggia al suo grembo. Ed è in quel momento che accade qualcosa che cambia tutto: la madre rinasce. La scena è costruita con una solennità quasi sacrale, evitando volutamente ogni tipo di effetto pirotecnico. Il risveglio è silenzioso. È Franklin ad averla salvata. Senza comprendere cosa stia facendo. E forse proprio per questo ci riesce.
Questa scena è il cuore concettuale del film. Franklin non è un’arma. È un miracolo. Un’energia che restituisce vita anziché distruggerla. In un universo dominato da esseri onnipotenti come Thanos, Celestiali, Galactus, vedere che la vera forza rigenerativa nasce da un bambino appena nato è un messaggio potente.
Epilogo – Il seme del destino
Quattro anni dopo. Sue è viva. Si prende cura di Franklin in una casa isolata, circondata da natura. L’aria è calma. Ma quando il bambino viene avvicinato da un uomo mascherato, col mantello verde, tutto cambia. È Victor Von Doom, e il modo in cui il film costruisce questo reveal è da manuale. Nessun dialogo. Nessuna spiegazione. Solo una maschera, un incontro tra il destino e ciò che verrà.
La Fase Sei si apre davvero qui.
I Fantastici Quattro – Gli inizi non è un film sulle origini nel senso classico. È un film che parla delle conseguenze. Di ciò che accade dopo che si ottiene un grande potere. Di come si affronta un mondo che cambia quando una nuova vita entra nella storia. Shakman costruisce un MCU che comincia a maturare: meno ironia, più dilemmi morali. E soprattutto, meno eroi perfetti e più famiglie imperfette. Il risultato? Un’introduzione densa, che non chiude nulla, ma apre tutto.
Il discorso di Dan Gilbert si muove su un registro che fonde cronaca, celebrazione e retorica pubblica. Ma lo fa in modo astuto, con una struttura ben definita:
“Adesso gente… gente, sappiamo tutti la storia: quattro coraggiosi astronauti vanno nello spazio…”
È la "storia che ci siamo raccontati". Inizia in medias res, richiamando un evento noto a tutti: l'incidente cosmico che ha dato origine ai Fantastici Quattro. È come se stesse leggendo l'inizio di un testo scolastico, o meglio, un moderno mito fondativo. “...sono tornati cambiati per sempre, non solo le molecole del loro corpo, ma anche il loro posto nei nostri cuori.”
Qui il monologo fa un salto importante: l’evoluzione dell’individuo in simbolo. Non si parla più di mutazione. L’eroe è forte: è familiare. “Nel nostro cuore” è una frase da cerimonia commemorativa, da funerale di stato o incoronazione. Il linguaggio cambia registro emotivo, abbracciando la sacralità. “Hanno sconfitto Fantasma Rosso, e le sue super scimmie... sono diventati i nostri leader.” Gilbert snocciola vittorie come un telegiornale militare: Mad Thinker, Fantasma Rosso, minacce fuori dal comune affrontate e neutralizzate. Ma il passaggio chiave è nel salto semantico tra “protettori” e “leader”: non sono più solo difensori, sono guida politica e morale.
“Facciamo un applauso per Reed, Sue, Johnny e Ben!”
Dietro l’applauso c’è l’ignoranza, che sappiamo solo noi spettatori, del pericolo imminente (Galactus), la nascita di Franklin, i dubbi interni del gruppo, e le tensioni etiche che stanno per esplodere.
Il monologo di Dan Gilbert è una delle scene chiave del film perché mostra la distanza tra come la società vede gli eroi e come gli eroi vivono se stessi. In sei minuti, il film ci regala un esempio di costruzione del mito supereroico attraverso gli strumenti della comunicazione di massa. È un discorso che risuona volutamente finto, costruito, istituzionalizzato. Il pubblico li chiama “amici”. Ma da lì a poche scene, li chiamerà “terroristi”, “irresponsabili”, “genitori egoisti”. Questo monologo è il canto prima della caduta.
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