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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo, pronunciato da Richard Williams in una delle scene più toccanti di Una famiglia vincente – King Richard, è probabilmente il punto emotivo più profondo del film. Qui Richard mette da parte ogni maschera: non parla da allenatore, da stratega, da padre invincibile. Parla da uomo ferito. È un racconto-confessione, carico di dolore antico e motivazione radicata. È la scena in cui finalmente capiamo perché Richard ha fatto tutto quello che ha fatto. Il monologo arriva in un momento di svolta: Venus è sul punto di entrare nel mondo del tennis professionistico. Richard lo sa: da qui in avanti, lui non potrà più proteggerla come prima. Ed è proprio in questo momento che racconta l’episodio chiave della sua infanzia. Lo fa quasi con pudore, come se fino a quel momento lo avesse tenuto dentro per decenni.
MINUTAGGIO: 1:41:00-1:43:00
RUOLO: Richard Williams
ATTORE: Will Smith
DOVE: Netflix
INGLESE
When I was a little boy, I grew up in Shreveport. One day, my father took me to town. He give me this money to pay this White man for something. Back in them days, Black folks weren’t allowed to touch White peoples. So I went to give the man this money, and I accidently touched his hand. And he start beating on me. He knocked me down, his friends come over, they all start stomping on me and beating on me. And I look up and I see my father in the crowd, and he took off running. Left me there with these grown men beating on me. Now, I haven’t been no great daddy… but I’ve never done nothing but try to protect you. This next step you about to take, it would… It would be hard for anybody. But for you, you not gonna just be representing you, you gonna be representing every little Black girl on Earth. And you gonna be the one gotta through that gate. And I just never wanted you to look up… and see your daddy running away.
ITALIANO
Quando ero bambino, sono cresciuto a Shreveport. Un giorno mio padre mi portò in città, diede i soldi per pagare una cosa a un uomo bianco. A quei tempi i neri non erano autorizzati a toccare i bianchi. Andai a dare i soldi a quell’uomo e per sbaglio gli toccai la mano. E lui iniziò a picchiarmi. Mi buttò per terra. I suoi amici arrivarono e mi presero a calci, calci, e mi picchiarono. Io guardai su e vidi mio padre tra la folla che scappava di corsa. Mi lasciò con quegli adulti che mi picchiavano. Ora, non sono stato un grande papà. Ma non ho mai fatto altro che cercare di proteggerti. Il prossimo passo che stai per fare sarebbe già duro per chiunque, ma perché tu non rappresenterai soltanto te. Tu rappresenterai tutte le ragazzine nere sulla terra. Sarai tu quella che dovrà aprire le strade. E io non volevo che tu guardassi in su e vedessi tuo padre che scappava.
“Una famiglia vincente – King Richard” è un film del 2021 diretto da Reinaldo Marcus Green, con Will Smith nei panni di Richard Williams, padre e allenatore delle future campionesse di tennis Venus e Serena Williams. La storia racconta gli anni della loro formazione, concentrandosi però non tanto sul tennis, ma su ciò che accade prima del successo. Il film ci porta dentro una famiglia afroamericana della periferia di Compton (California), e lo fa seguendo il punto di vista di Richard: un padre cocciuto, calcolatore, e pieno di convinzioni. Richard ha un piano. Letteralmente: un documento di 78 pagine in cui ha scritto la strategia per trasformare due delle sue cinque figlie in leggende del tennis mondiale. Questo piano, più che ambizione, è un atto di protezione: Richard vuole tenere le sue figlie lontane dalla strada, dalla violenza, dalla povertà e dai destini preconfezionati per chi cresce in certi contesti. Il tennis, per lui, è una via d’uscita. Ma anche un campo di battaglia.
Il film si apre nel momento in cui Richard, già padre-allenatore, cerca disperatamente di trovare un coach professionista disposto ad allenare Venus e Serena. Nessuno sembra prenderlo sul serio, anche perché la famiglia non ha soldi, non ha contatti, e le due ragazze non partecipano neppure ai tornei juniores. Questo dettaglio è centrale: Richard decide che le sue figlie non seguiranno il percorso classico del tennis. Le vuole proteggere da un sistema che – secondo lui – brucia i giovani talenti troppo in fretta. Venus sarà la prima a ricevere l’attenzione del circuito. Ottiene un contratto con Rick Macci, coach noto per aver scoperto Jennifer Capriati. La famiglia si trasferisce in Florida. Serena, inizialmente, resta in secondo piano. Ma nel film questo è mostrato con grande sensibilità: Serena non è mai dimenticata, viene invece allenata nell’ombra, lontano dai riflettori, in attesa del suo turno.
Il cuore narrativo del film è la tensione tra Richard e il mondo esterno. Richard non è il classico “padre motivatore”, è un personaggio pieno di zone grigie: prende decisioni discutibili, impone la sua visione anche quando sembra irrazionale, e spesso entra in conflitto con gli stessi allenatori che lui ha cercato. Ma tutto questo viene mostrato non per fare di lui un eroe o un villain, bensì per costruire un ritratto più complesso di cosa significhi essere genitore in un contesto difficile. La madre, Brandi (interpretata da Aunjanue Ellis), ha un ruolo tutt’altro che marginale. È co-allenatrice, figura di equilibrio, e nel film viene data giusta enfasi alla sua presenza. C’è una scena in particolare in cui Brandi rimette Richard al suo posto: gli ricorda che le figlie non sono un progetto personale. È uno dei momenti più intensi e sinceri del film. Il climax arriva quando Venus, finalmente, affronta la sua prima grande partita da professionista. Il match è tirato, teso, e carico di aspettative. Richard, fino all’ultimo, tenta di proteggerla. Ma alla fine si rende conto che deve lasciarla andare. La partita è persa, ma la ragazza ha dimostrato di essere pronta. È l’inizio della leggenda.
Richard comincia con: “Quando ero bambino, sono cresciuto a Shreveport...” Inizia con una collocazione geografica, ma sta già evocando un’America segregazionista, dove il colore della pelle segnava la distanza tra chi poteva e chi non poteva. Quella frase ci trasporta subito in un tempo in cui la violenza razziale era norma, non eccezione. “A quei tempi i neri non erano autorizzati a toccare i bianchi.” Non è solo una frase informativa. È una frase incisa nella memoria di Richard, che definisce un’intera generazione. E quando racconta di aver involontariamente toccato la mano di un uomo bianco, l’innocenza di quel gesto rende ancora più violenta la reazione:
“Iniziò a picchiarmi… mi buttarono per terra… mi presero a calci.” Ogni parola pesa. E poi arriva il momento che spezza tutto: “Vidi mio padre tra la folla che scappava di corsa.” Questo è il vero centro del monologo. Richard non è rimasto segnato solo dalle botte, ma dall’assenza. Dal fatto che nessuno lo ha difeso. È lì che nasce la sua missione come padre: non scappare. Proteggere, ad ogni costo. È questa la radice della sua ossessione.
Quando poi dice: “Non sono stato un grande papà. Ma non ho mai fatto altro che cercare di proteggerti.” sta riconoscendo i suoi limiti. Ma li colloca dentro una motivazione che è tutto fuorché egoistica. Per lui, essere padre significa non permettere mai che sua figlia si senta abbandonata. E la chiusura del monologo allarga lo sguardo: “Tu rappresenterai tutte le ragazzine nere sulla terra.” Questa frase segna il passaggio da una storia privata a una responsabilità collettiva. Richard non sta solo parlando con sua figlia. Sta parlando attraverso di lei. La vede come simbolo, come ponte, come apertura. E lo dice con una frase finale che è sia dolore che promessa: “Non volevo che tu guardassi in su e vedessi tuo padre che scappava.”
Questo monologo è, in un certo senso, la chiave per decifrare tutto il personaggio di Richard Williams. Non è un uomo che vuole controllare per mania di grandezza. È un uomo che ha conosciuto il terrore, l’umiliazione, e ha deciso che sua figlia non dovrà mai viverlo. Non cerca il successo. Cerca riparo. Cerca giustizia, in una forma imperfetta e personale, ma potente. E qui, nel momento in cui lascia andare Venus verso il suo destino, riesce anche a lasciare andare un pezzo del suo trauma.
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