Monologhi drammatici dal teatro: emozione pura in pochi minuti

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il teatro ha da sempre il potere di toccare le corde più profonde dell’animo umano. E quando l’intensità drammatica si concentra in un monologo, l’effetto è travolgente: pochi minuti possono bastare per farci piangere, riflettere, cambiare. In questo articolo ti guiderò alla scoperta dei più potenti monologhi drammatici tratti dal teatro, perfetti per attori che vogliono mettersi alla prova o per appassionati in cerca di emozione pura. Lasciati ispirare da parole che bruciano, sussurrano, gridano verità universali.

IL MERCANTE DI VENEZIA

"Il mercante di Venezia" è una delle opere più complesse di Shakespeare, capace di fondere tematiche profonde come l’intolleranza, la vendetta e la giustizia in una narrazione che oscilla tra commedia e dramma. Al centro di questa tensione c’è Shylock, un personaggio che incarna il risentimento e l’emarginazione di chi è costantemente umiliato. Il suo celebre monologo, nel terzo atto, è un momento cruciale che trasforma l’antagonista in una figura profondamente umana. In queste parole, Shylock rivendica la propria dignità, denuncia l’ipocrisia della società veneziana e giustifica la vendetta come risposta inevitabile all’oppressione.

INTRO MONOLOGO

Mi ha maltrattato e defraudato di mezzo milione; ha gioito delle mie perdite, deriso i miei profitti,disprezzato il mio popolo, ostacolato i miei affari, allontanato i miei amici, saziato i miei nemici. E per quale ragione? Perché sono ebreo. Non ha occhi un ebreo? Non ha mani un ebreo ?

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CALIGOLA

Il monologo finale di Caligola, tratto dall'omonima tragedia di Albert Camus, è una delle sequenze più intense dell’intera opera. In queste parole, il protagonista si spoglia di ogni maschera, rivelando il cuore del suo tormento esistenziale. In un dialogo straziante con il proprio riflesso, Caligola affronta il fallimento della sua ribellione contro l’assurdo, la consapevolezza del vuoto interiore che lo consuma e il peso della sua umanità tradita. Attraverso immagini potenti come lo specchio e il vuoto, Camus sintetizza i temi centrali dell’opera – l’assurdo, la libertà e la ricerca dell’impossibile – gettando una luce tragica sulla condizione umana.

INTRO MONOLOGO

(Caligola si guarda intorno, stralunato. Va verso lo specchio e lo gira verso di sé) Caligola! Anche tu, anche tu sei colpevole. Più o meno. Non è così? (Pausa) Mi capiranno mai? No, mi giudicano. Ed anche tu mi giudichi. Come ti ammiro per questo tuo poter di giudicare. (Con tutto il tremore dell'angoscia nella voce, strofinandosi contro lo specchio). Vedi, Elicone non è venuto. Non avrò la luna. Comincio ad avere paura. Ah, che abiezione, che schifo, che senso di vomito sentirci crescere dentro quella stessa viltà e quell'impotenza che abbiamo disprezzato negli altri. La viltà! Ma che importa? Nemmeno la paura dura tanto.

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RICORDA CON RABBIA

Questo monologo è uno dei nuclei emotivi più intensi di Ricorda con rabbia. Qui Jimmy non sta scavando nella sua infanzia per spiegare – quasi giustificare – la sua rabbia, la sua durezza verso il mondo. È un momento in cui, dietro la sua maschera tagliente, finalmente intravediamo la ferita. Siamo nel cuore del secondo atto della pièce. Jimmy Porter ha già riversato frustrazione, sarcasmo e disprezzo su Alison, Cliff e Helena. Ma in questo momento si apre. Racconta un episodio della sua infanzia che segna il suo rapporto con l'autorità, con la classe sociale e, soprattutto, con l'emotività.

INTRO MONOLOGO

Chiunque non abbia mai visto morire un uomo, soffre di un grave caso di verginità.  Per dodici mesi ho guardato mio padre che stava morendo, avevo dieci anni allora. Era tornato dalla guerra di Spagna. Laggiù qualche pio gentiluomo l’aveva conciato in tal modo che non gli restava più molto da vivere. Tutti lo sapevano… anch’io lo sapevo. Ma, vedete, io ero l’unico a cui dispiaceva. La sua famiglia era imbarazzata da tutta la faccenda. Irritata e imbarazzata.

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LE TROIANE

Questo monologo di Ecuba è uno dei momenti più potenti e tragici de Le Troiane: una madre, una regina e una donna che affronta la devastazione totale, il collasso del mondo che conosce e la perdita della propria identità.

Il monologo arriva in un momento cruciale dell’opera. Ecuba, un tempo regina di Troia, è ridotta a una schiava. Ha perso tutto: il suo regno, la sua famiglia e il suo futuro. La sua figura è un simbolo del collasso di una civiltà, ma anche della resilienza dell'essere umano di fronte alla catastrofe. Qui, la sua voce si alza per dare corpo al dolore, non solo il suo personale, ma quello collettivo di un’intera città e generazione.

INTRO MONOLOGO

Miserabile!

Sollevati da terra,

apri gli occhi....guarda...

davanti a te non c'è più una città,

non sei più la regina di Troia.

Il destino di tutte le cose è di cambiare.

Adesso, accetta...

accetta di essere portata dalla marea del mondo,

accetta di essere trascinata dai marosi...

non lanciare dritto sull'onda

il fragile battello della tua vita...

vivi alla deriva!

Ecuba!

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ZIO VANJA

Il contesto è questo: in Zio Vanja tutto è crollato. Vanja ha tentato di sparare al Professore, senza riuscirci. Elena e il Professore se ne sono andati. Astrov ha chiarito che non ricambierà l’amore di Sonia. La tenuta non sarà venduta, ma è una magra consolazione. La casa torna al suo stato iniziale, ma con un peso in più: la consapevolezza che nulla cambierà davvero. In questo momento di stanchezza e resa, Sonja si avvicina a Vanja con un discorso che sembra una preghiera, una carezza, una visione. 

INTRO MONOLOGO

Che fare? Bisogna vivere! (Pausa) Noi vivremo, zio Vanja. Vivremo una lunga, una lunga sequela di giorni, di interminabili sere. Sopporteremo pazientemente le prove che ci manderà la sorte. Faticheremo per gli altri, adesso e in vecchiaia, senza conoscere tregua. E quando verrà la nostra ora, moriremo con rassegnazione e là, oltre la tomba, diremo che abbiamo patito, pianto, sofferto amarezza. E Dio avrà compassione di noi, e noi due, zio, zio caro, vedremo una vita limpida, bella, armoniosa, ci rallegreremo e ci volgeremo a guardare commossi, con un sorriso, le nostre sventure presenti.

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UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

Questo monologo di Blanche DuBois, rivolto a Mitch, è un punto di svolta emotivo nell’opera “Un tram che si chiama desiderio”. Il monologo arriva in un momento chiave della relazione tra Blanche e Mitch. Fino a quel punto, Blanche ha costruito una serie di maschere: seduttiva, teatrale, sofisticata. Ma sotto quella superficie c’è una persona in frantumi, e qui per la prima volta si apre davvero.

INTRO MONOLOGO

Quando avevo 16 anni, mi innamorai di un ragazzo. Ma così di colpo, e in un modo così pieno, totale! E’ come se all’improvviso tu accendi un faro nella penombra, così si trasformò il mondo per me! Ma ero sfortunata. Fu un inganno.

Lui aveva qualcosa di diverso, una sensibilità, una mollezza, delicatezza, che non era da uomo… Lui cercò aiuto da me. Ma io non sapevo… Io non capii niente … Sapevo solo di volergli un bene immenso...

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